Il prezzo del petrolio non accenna a risalire. Una buona notizia per i Paesi importatori come l’Italia, ma potenzialmente una bomba a orologeria sui mercati. Le cause del prezzo così basso sono diverse: una domanda fiacca a causa di un’economia che ristagna; i mercati avevano scommesso su un crollo della produzione legato a diverse crisi internazionali, ma anche in Paesi come l’Iraq o la Libia la produzione al momento non è diminuita sensibilmente; i principali consumatori, gli USA, sono oggi grandi produttori e coprono buona parte della propria domanda interna: l’Arabia Saudita e gli altri Paesi del Golfo non intendono diminuire le proprie quote di produzione per fare risalire i prezzi, anche per non fare un favore a nazioni quali Iran e Russia.
Gli impatti non sono unicamente su alcuni Paesi produttori, ma prima ancora sul settore privato. La produzione in USA ha toccato nuovi picchi principalmente per gli enormi investimenti realizzati nell’estrazione di petrolio con tecniche quali il fracking (ovvero sbriciolare rocce per estrarre gli idrocarburi in esse contenuti), o in zone geografiche sempre più difficili, come nell’Artico. Si tratta di investimenti che hanno una giustificazione con un petrolio sopra i 100$ al barile, ma che sembrano ben poco sostenibili – dal punto di vista economico oltre che ambientale – alle quotazioni attuali.
Come spiegato in un recente post di Zerohedge, se il prezzo del petrolio non risale rapidamente, le azioni delle compagnie petrolifere dovranno scendere di un buon 40%. Il dato si ricava dall’analisi dei fondamentali, e in particolare di uno dei principali rapporti presi in considerazione dagli analisti, il P/E. Si tratta del rapporto (Price/Earning) tra prezzo di un’azione e l’utile atteso, ovvero in pratica il “rendimento previsto” di un’azione. Il rapporto negli ultimi 5 anni è stato pari a 12, sui 10 anni a 11,9, sui 15 anni a 13,6. In questo momento è a 23. In parole povere, significa che il prezzo delle azioni delle compagnie petrolifere è enormemente sopravvalutato rispetto ai fondamentali del mercato azionario.
Secondo un altro post intitolato non a caso “sta iniziando”, le conseguenze si stanno già vedendo. La Chevron avrebbe deciso di sospendere il programma di acquisto di azioni proprie per il 2015. Molte aziende nei momenti di difficoltà dei mercati acquistano le loro stesse azioni, in modo da tenere alto il prezzo. Una strategia che può funzionare per un tempo relativamente breve. Secondo il post, “il gigante dell’energia Chevron ha ammesso che non solo non vede un raddoppio dei prezzi del petrolio a breve, ma che i prezzi dell’energia quasi sicuramente andranno parecchio più giù. Come risultato la compagnia ha […] sospeso il programma di acquisto di azioni proprie per il 2015”, ovvero ha rinunciato a una strategia per fermare la discesa del prezzo delle proprie azioni.
E’ difficile dire cosa ci aspetta nel prossimo futuro, ma i rischi di una nuova bolla finanziaria appaiono sempre più concreti. La scintilla potrebbe essere un prezzo del petrolio che non corrisponde ai corsi azionari delle imprese del settore. Ma è un problema ben più ampio, di un sistema finanziario che nel suo insieme si è sempre più distaccato dai fondamentali dell’economia. Una bolla gonfiata dalle migliaia di miliardi pompati da governi e banche centrali in questi anni, in una folle corsa a inondare di soldi facili il sistema finanziario mentre Stati e cittadini, in particolare in Europa, continuano a essere strangolati dall’austerità. Una paradossale visione secondo la quale la finanza pubblica è il problema e quella privata è la soluzione, ribaltando cause e conseguenze della crisi.
Ultimo in ordine di tempo, il Quantitative Easing promosso nei giorni scorsi dalla BCE, con gli obiettivi di acquistare titoli di Stato, rilanciare l’erogazione del credito per famiglie e imprese, favorire l’export delle imprese europee. Di fatto, il risultato principale potrebbe però essere quello di “drogare” i mercati finanziari, e i corsi azionari in particolare, pompando una quantità enorme di denaro per tentare di puntellare un sistema tanto instabile quanto inefficiente.
Al culmine del paradosso, oggi tutti gli occhi sono puntati sulla Grecia, cenerentola dell’UE che cerca di rimettere in discussione questa visione fallimentare, il ruolo dei debiti pubblici e di quelli privati, le responsabilità dei governi e quelle del casinò finanziario. Tutti a guardare la pagliuzza greca, mentre per l’ennesima volta, dai mercati finanziari privati e non certo dalla finanza pubblica, rischia di arrivare una trave di dimensioni colossali.
(di Andrea Baranes, Non con i miei soldi)