Da Repubblica

ROMA – Ad aprile del 2011, a Milano, giornalisti, chef, rappresentanti di associazioni, economisti, hanno lanciato l’appello Sulla fame non si specula. Alla città che ospita l’Expo 2015 (il cui tema è “Nutrire il pianeta, energia per la vita”) è stato chiesto di impegnarsi a non speculare sul cibo e di adottare un codice di condotta che impegni l’amministrazione a non investire in titoli derivati legati ai beni alimentari. Sulla Fame non si Specula è diventata una campagna nazionale, promossa da diverse Ong come ActionAid ItaliaVita,PIMEUnimondoAcli con il sostegno, tra le altre, diBanca EticaAltromercatoSlow FoodColdirettiAcra,Intervita.

I prezzi su materie prime e cibo aumentano. Secondo Fao e Ocse, nel decennio 2011-2020 i prezzi dei cereali aumenteranno del 20% e quelli della carne addirittura del 30%;  nel 2050 sarà necessario produrre 1 tonnellata in più di cereali per sfamare la popolazione mondiale. Dal giugno 2010, i prezzi del grano e del mais hanno ricominciato ad aumentare e sono raddoppiati nel 2011, superando i massimi storici. Per spiegare perché esiste una maggioranza di mondo che muore di fame, occorre guardare a lobby internazionali (JP Morgan, la più grande banca americana, Goldman Sachs e Barclays, fra le altre) in grado di influenzare i prezzi sulla borsa merci di Chicago, dove si negoziano i contratti sui cereali e i cui valori diventano riferimento per i prezzi in tutto il mondo. Molte operazioni finanziarie sono delle vere e proprie scommesse giocate sulle materie prime, dal cibo al petrolio, che permettono notevoli profitti. Chi paga questo gioco sono i 3 miliardi di persone che vivono con meno di due dollari al giorno e i 925 milioni che sono malnutriti, in un mondo dove potrebbero mangiare 11 miliardi di persone.

Cresce la fame in Bulgaria e gran parte dell’Africa. Come conseguenza del sistema del mercato attuale, dove non ci sono legislazioni locali, ma un solo indice di riferimento finanziario valido per tutto il mondo, e do ve la deregulation non consente una trasparenza di compravendita sugli alimenti, esistono paesi dove la situazione è destinata a esplodere. Bulgaria, Repubblica democratica del Congo, Burundi, Comore, Costa D’Avorio e Corea del Nord: questi i paesi dove aumenterà la mortalità per fame. La Banca Mondiale nel 2011 ha calcolato che 44 milioni di persone sono finite in povertà come conseguenza dell’aumento dei prezzi dei beni alimentari. Ciad, Burundi, Repubblica democratica del Congo, Eritrea, insieme ad Haiti, hanno più del 50% della popolazione malnutrita.

futures: contratti sul cibo da più di un secolo.  Dal 1895 nella Borsa di Chicago si comprano e si vendono contratti futures, all’epoca legati alla sola raccolta del frumento. La volatilità del commercio sul cibo, ha reso infatti opportuna la diffusione di contratti che stabilissero un determinato prezzo futuro sugli alimenti, a prescindere da qualsiasi imprevisto o evento negativo, da qualsiasi aumento o crollo del prezzo o della quantità dei prodotti alimentari. Questi contratti sono stipulati tra il produttore e i grandi compratori, come le industrie alimentari. “Alla loro nascita hanno anche svolto una funzione positiva nel mercato alimentare, rendendo più chiari i rapporti del libero mercato – dice Riccardo Moro, l’economista che ha guidato l’iniziativa Sulla Fame non si Specula – Ma la speculazione, consentita dalla deregulationfinanziaria degli ultimi 15 anni, li ha resi armi finanziarie”.

La speculazione sui titoli finanziari. “In sostanza, non si specula sul cibo (non si trattengono gli alimenti nei magazzini in attesa che salga il prezzo, per poi rivenderli), ma sui titoli finanziari – spiega Riccardo Moro – La deregulation ha consentito che i titoli finanziari legati all’agricoltura venissero acquistati da chiunque. La fortissima domanda di questi titoli ne ha fatto aumentare i prezzi, la speculazione (giocando su vendite e riacquisti rapidi in borsa) li ha fatti andare in tilt, e i prezzi dei prodotti alimentari reali sono stati costretti a seguirli. Tra l’altro, la dimensione del mercato dei titoli finanziari legati al cibo è enormemente più grande di quella del mercato reale. Altra cosa importante, i titoli che rappresentano acquisti, come i future, si stracciano prima della consegna, e questo è un ulteriore problema, che evidenzia il disinteresse verso i prodotti alimentari in sé. I movimenti nel mercato maggiore influenzano quelli nel mercato più piccolo. E cosi, è la finanza che decide il prezzo del pane, o di qualunque alimento, ormai “.

L’imbastardimento della speculazione. Commodity Index fund: nel 1991 il colosso finanziario Goldman Sachs (USA) lancia nel mercato i Commodity Index fund e da allora i termini del libero commercio si sono alterati fino a determinare l’inquinamento dei futures e di tutti i contratti legati allo scambio di materie prime. I commodity Index Fund sono fondi di investimento, il cui rendimento è legato ad un indice matematico calcolato combinando le variazioni delle quotazioni dei futures sulle materie prime (petrolio, gas naturale, oro, ma anche mais o frumento). Da allora, i futures sui prodotti agricoli non li compra più solo chi ha un interesse diretto in quel determinato mercato, ma anche soggetti finanziari che investono grandi somme di denaro solamente per guadagnarci. “A loro non interessa quanto costerà il frumento ad una determinata data, ma che faccia guadagnare soldi – conclude Riccardo Moro – Tale rialzo improvviso di titoli ne ha fatto impennare il valore, rendendoli remunerativi”. Il successo speculativo di questi fondi d’investimento sul cibo è stato spinto, dopo il 1991, da altre potentissime società come Morgan Stanley (USA) o Barclays Capitals (UK).

I derivati e il loro micidiale impatto sull’economia. I derivati rappresentano il mezzo di speculazione finanziaria col più significativo impatto per l’economia mondiale. La loro diffusione, consolidatasi soprattutto nei primi anni 2000, si è avuta attraverso i grandi soggetti della finanza internazionale, i quali, per mezzo dei derivati appunto, hanno scaricato le conseguenze della grave crisi globale in atto sui settori produttivi dell’economia reale (le imprese) e sugli enti pubblici. Un derivato ha come oggetto una previsione (per meglio dire, una scommessa) su indici di prezzo di determinate attività finanziarie di vario tipo (ad esempio, quotazioni di titoli, tassi d’interesse, valute, merci) e dall’andamento di tali indici esso trae il proprio valore.

Le opzioni, contratti senza obbligo di acquisto del cibo. Acquistando quest’altro genere di titoli  non si compra un bene (per esempio del frumento), ma la possibilità (non l’obbligo) di comprarlo a un certo prezzo a una certa data. Per l’acquisto di un’opzione si mettono in gioco molti meno soldi rispetto a quelli che guadagnerò se questo investimento si rivelerà conveniente. Ad esempio: compro per 10 dollari un’opzione sull’acquisto di 100 bushel (unità di misura per i cereali) di mais a 700 dollari nel marzo 2013. Se da qui alla scadenza il prezzo del mais aumenta del 10% per quei 100 bushel di mais pagherò comunque 700 dollari al posto di 770 dollari. E i 10 dollari che avrò investito mi avranno fruttato non il 10%, ma il 600% di interesse. Una cuccagna per chi gioca in borsa.

Gli swap, contratti stipulati da società finanziarie. Questa ancor più raffinata forma di speculazione si basa su contratti stipulati non direttamente tra un venditore e un compratore, ma attraverso la mediazione di una finanziaria che emette – appunto – lo swap. A differenza di futures e opzioni, gli swap non sono standardizzati: si può decidere di volta in volta taglio e durata. Questa flessibilità ha però una contropartita: gli swap non sono trattati all’interno di una Borsa, ma nel cosiddetto Over the counter, cioè in un sistema di compravendita di titoli meno trasparente e meno vincolato. Come facilmente intuibile è la parte meno controllabile della speculazione sul cibo.

La finanza sui terreni agricoli. L’accaparramento delle terre è un’altra forma di speculazione. La scarsità di terreni coltivabili in alcune zone del pianeta e la volatilità dei prezzi hanno portato i paesi più ricchi e dipendenti dalle importazioni di cibo, acquistando grandi porzioni di terra al fine di produrre alimenti per i loro bisogni domestici. Investitori del tutto disinteressati all’agricoltura in sé, comprano la terra per scopi speculativi, anticipando gli incrementi dei prezzi negli anni a venire, naturalmente a scapito dei contadini che coltivano, ma non possono permettersi di acquistare quelle terre. Nei paesi in via di sviluppo, infatti, dal 2001 circa 227 milioni di ettari di terreni (un’area grande quanto l’Europa Orientale) sono stati venduti o affittati a investitori internazionali, a volte raggirando gli agricoltori locali. Secondo le ricerche effettuate dalla Land Matrix Partnership, questo “furto” è aumentato negli ultimi due anni.